MARINA ha mostrato interesse per le fiabe che preferivo da bambino . . . gliele metto qui:

. . . . a cominciare dal principe invisibile :

 Dalla mia infanzia una bella storia adattata dalle "MILLE E UNA NOTTE"

 █                               Storia   del       principe   invisibile    

 █                               Storia   del       principe   invisibile     █

Con un gesto disperato il principe GANEM piantò la zappa nel terreno e abbandonò il lavoro per andare a sedersi sotto un grosso albero. E là gemendo e sospirando cominciò a esaminare amaramente la sua misera e triste condizione.

Figlio unico del possente re dell' isola d' Ebano, avrebbe dovuto succedergli al trono raccogliendo col potere onori, ricchezza e felicità. Ma le cose purtroppo erano andate diversamente.

Suo padre era morto che lui aveva dieci anni e suo cugino ABU-AIUB, coadiuvato da ministri traditori e corrotti, aveva approfittato della sua giovinezza e inesperienza, della sua bontà per spogliarlo di tutto usurpandogli il trono. Per un vero miracolo il povero principe era stato risparmiato. Ciò lo si doveva al fatto che Abu lo credeva troppo sciocco per essere pericoloso.

GANEM però aveva dovuto accettare di divenire garzone d' un brutale giardiniere di palazzo, che avendo l' incarico di custodirlo non era certo molto tenero con lui.

Così, mentre l' usurpatore viveva nel fasto, nell' opulenza, il povero ragazzo doveva faticare tutto il giorno, poco nutrito e spesso bastonato.

E passarono così cinque lunghi anni.

Sembrava impossibile, pure durante quel periodo il principe che aveva avuto una buona educazione e che amava lo studio, non aveva mai trascurato, nelle poche ore libere, di frequentare un vecchio e sapiente iman, facendo tesoro dei suoi vecchi libri di scienza che gli avevano appreso molte cose necessarie per governare un popolo.

Al contrario ABU, che era un vero ignorante, non si curava che di caccia e di sciocchezze e frivolità o frivolezze.

Quel giorno GANEM sentiva ribollire dentro di sè una collera sorda, mentre addossato all' albero, gemeva torcendosi le mani, il cuore gonfio d' odio e di rivolta.

Un solo ricordo conservava del passato: si trattava d' un anello d' un metallo sconosciuto che portava al dito indice della mano destra. Era una specie di talismano che apparteneva da secoli ai sovrani dell' isola d' Ebano, che se lo trasmettevano di padre in figlio. Un talismano il cui segreto purtroppo però era stato disgraziatamente dimenticato.

Fortunatamente ABU, ritenendolo oggetto di poco valore, non l' aveva tolto al cugino di modo che ora GANEM, come si fu un po' calmato vedendolo brillare stranamente al sole prese a farlo girare automaticamente al dito mentre pensava al suo triste destino.

Fu proprio per pura combinazione che lo fece girare tre volte in un senso e tre in un altro.

Improvvisamente una nera caligine oscurò il giardino, uno strano odore si sparse intorno e mentre un fragore di tuono lontano scuoteva l' aria la fitta nebbia venne squarciata da lampi.

Il giovane principe era balzato in piedi spaventato e si guardava intorno pronto a fuggire.

Ma improvvisamente la bruma si sciolse e un essere strano apparve. Aveva un aspetto terribile, proporzioni gigantesche e irradiava luce.

Quando il genio parlò la sua voce fece tremare gli alberi, fece cadere le loro foglie:

- Sono il genio dell' anello, - disse - che i tuoi antenati hanno da secoli dimenticato. Parla: che vuoi da me? Posso adempiere ogni giorno un tuo voto, qualunque sia. Non più di uno, però!

- Ecco, - balbettò il principe dopo breve esitazione, - Se potessi diventare improvvisamente invisibile sarei contento. - Nulla di più semplice. Non avrai che da passare l' anello dall' indice della mano destra in quello della sinistra. Tu ti vedrai ma gli altri no.

GANEM, senza esitare compì l' operazione gli parve di sentirsi più leggero e gli sembrò che la luce passasse attraverso il suo corpo.

- Buon genio, - disse allora, - potrò chiamarti ancora?

- Arriverò ogni qualvolta girerai l' anello tre volte da una parte e tre dall' altra. Ora però ti lascio: buona fortuna.

La caligine diradò, scomparve, e BARBAROUCH, così si chiamava il genio con essa.

GANEM credeva d' aver sognato: guardava l' anello, se stesso, il giardino. Un grosso insetto si posò ronzando sopra il ramoscello d' un albero vicino. Egli allungò una mano e senza esitare l' afferrò. Il coleottero non aveva neanche cercato di fuggire il che indicava che non l' aveva visto.

In quel momento echeggiarono aspre grida; il brutale giardiniere, che aveva nome MECHMET, lo cercava. Istintivamente GANEM corse verso di lui che, rosso di collera, urlava agitando un grosso bastone. - Dove sei, dannato poltrone? A piagnucolare come al solito sotto qualche albero! Vieni che ti consolerò col mio castigamatti!

Il randello mulinava nell' aria e GANEM, terrorizzato, avanzava tremando all' idea della correzione che l' aspettava.

Ma improvvisamente si fermò poichè MECHMET guardava stupito nella sua direzione ascoltando a bocca spalancata il fruscio dei suoi passi ma sembrava che non lo scorgesse.

Pieno di speranza GANEM pensò che realmente il buon genio aveva appagato il suo desiderio.

Non udendo più nulla il giardiniere ricominciò a sbraitare facendo roteare il bastone. Allora una strana idea colpì GANEM che, estirpato da un vicino cespuglio un ramo flessibile lo spogliò delle foglie.

Stupito, quasi terrorizzato MECHMET vide il giunco piegarsi, rompersi, perdere il fogliame poi il ramo, venuto a contatto dell' anello, scomparve improvvisamente. L' uomo si stropicciò gli occhi, fece qualche passo avanti poi tornò a sostare incerto; alla fine si piegò per osservare le foglie che giacevano ora al suolo.

In quell' istante il principe, assetato di vendetta, sferzò violentemente i polpacci del giardiniere, che si diede a saltare gridando, imprecando, e lasciando cadere il bastone si guardò attorno come una belva presa al laccio. Egli roteava gli occhiacci sperando di vedere il suo torturatore ma non scorgendo nessuno, pazzo di paura fuggì a gambe levate, inseguito da GANEM che continuava a sferzarlo spietatamente sulle rotondità posteriori.

Improvvisamente MECHMET, reso folle dal terrore, incespicò e si abbattè al suolo, dove rimase stordito.

Un' ultima scarica di colpi e il principe, felice e soddisfatto lo lasciò e si diresse svelto e leggero verso la città.

Lungo il cammino diede sfogo alla sua gioia combinando scherzi innocenti ai viandanti che incontrava. A questi tirava il caffetano, a quello spostava il turbante, a un terzo strappava la barba o mormorava misteriose parole riempiendo tutti di stupore e di paura.

Giunse così al cancello del grandioso giardino prospiciente al palazzo sultaniale dove risiedeva il suo perfido cugino. Due guardie magnificamente vestite e che impugnavano le nude scimitarre custodivano l' ingresso e GANEM assicuratosi che non v' era nessuno in vista gridò:

- Abbasso il re!

Quel grido sedizioso sconvolse i due guardiani stupefatti e furiosi, che però non videro vicino a loro anima viva. Infatti invano si aggirarono qua e là, armi alla mano: non scorsero nessuno.

Nel frattempo GANEM, oltrepassato il cancello si inoltrò nel giardino meraviglioso nel quale non aveva messo più piede da quando era bambino. A mezzo d' un ombreggiato viale fiancheggiato da palmizi, raggiunse il marmoreo palazzo, coperto di lastre di onice e porfido, arricchito da numerose statue. Anche là v' erano sentinelle, che trasalirono udendo risuonare i suoi passi sui gradini dell' ampio scalone. GANEM, senza curarsi del loro stupore aprì la porta, e quelli, pensando a un colpo di vento, s' affrettarono a richiuderla. Dopo averla sbattuta loro disinvoltamente sul naso il principe s' inoltrò nelle vaste e lussuose sale del meraviglioso palazzo.

Attraverso numerosi saloni magnificamente decorati incontrando solo qualche sentinella di guardia agli ingressi, che GANEM superava sgattaiolando via silenzioso. Finalmente egli giunse in una vasta anticamera popolata di parecchi ufficiali e cortigiani che conversavano tra loro sottovoce mentre una dozzina di guardie custodivano le porte.

Allora GANEM gridò a voce alta:

- Il re ABU-AIUB è una canaglia e un idiota...più sciocco di coloro che lo servono...

Mentre con un balzo il giovane si riparava dietro una statua le guardie, sdegnate, giravano come belve nel vasto ambiente cercando il colpevole.

Visto libero l' ingresso GANEM lo varcò e penetrò nel vicino salone affollato da una folla di cortigiani venuti a rendere omaggio al sovrano, che aveva fatto servire loro frutta e rinfreschi prima di riceverli.

- Sua maestà ABU-AIUB, - disse uno dei presenti - è ancora a consiglio col gran visir e coi suoi ministri. Temo che stamani non ci riceverà. - E' un gran re! - esclamò un altro portandosi una coppa alle labbra, e GANEM lo riconobbe per un funzionario che suo padre aveva colmato di benefici. Allora, per punirlo della sua ingratitudine, gli andò vicino, gli strappò la coppa di mano e gliene lancio il contenuto sul volto, tra la meraviglia generale.

Ma il principe infuriato, aveva perso il controllo delle sue azioni e cominciò a colpire a dritto e a rovescio con la sua bacchetta finchè la confusione divenne generale. I cortigiani terrorizzati, si urtavano per sfuggire ai colpi dei quali non vedevano l' origine, si accusavano a vicenda, bisticciavano, si insultavano, finchè GANEM, afferrate le ceste piene di frutta, i vassoi colmi di confetture, di cristallerie, li rovesciò addosso ai disgraziati rovinando le loro vesti sontuose, facendo sanguinare i loro volti.

Incapace ormai di trattenersi GANEM alla fine gridò:

- Fuori di qui, vili sciacalli, che avete abbandonato il vostro vero re per favorire un miserabile usurpatore. Via di qui furfanti!...

Il suono della sua voce per poco non lo tradì. Un ufficiale, più ardito degli altri, riuscì ad afferrarlo pur senza vederlo, ma GANEM gli sfuggì di mano e alquanto soddisfatto per aver sfogato un po' della sua collera su quei terrorizzati parassiti, riuscì a sgattaiolare nella sala del consiglio.

ABU-AIUB era là, cupo, acciliato, torvo, seduto a gambe incrociate, su di un basso divano e fumando il narghilè   col bocchino d' ambra, ascoltava i suoi gemebondi ministri, approvando quando essi gli proponevano qualche legge destinata a spremere il popolo, ormai ridotto alla disperazione.

- Faremo impalare i ribelli! - tuonò improvvisamente il despota mentre GANEM, sedutosi su di un tappeto, ascoltava a bocca aperta.

Poi, sdegnato, si alzò rapido e silenzioso, si insinuò sino al re e con tutte le sue forze gli assestò un ceffone che risuonò come un colpo di frusta.

Il monarca sobbalzò portandosi la mano alla gota, divenuta paonazza. Era fuori di sè per la collera e non riusciva a spiegarsi l' accaduto mentre il visir e i ministri lo fissavano allibiti, costernati. Uno di essi però non riuscì a trattenersi dal sorridere e tosto fu acciuffato dalle guardie e tradotto in prigione, mentre il vero colpevole, riparato in una nicchia, se la godeva un mondo. Dopo un po' di tempo la seduta venne ripresa sebbene tutti i presenti non vedessero l' ora di lasciare quel pericoloso ambiente.

GANEM però non intendeva finirla così e munitosi di un lungo spillone appena il gran visir riprese a parlare punse ABU-AIUB sotto le reni. La collera del sovrano non s' era esaurita che tornò a esplodere con maggior furore. Egli balzò in piedi e fregandosi la parte offesa proferì spaventevoli minacce. Egli avrebbe fatto impalare tutti i ministri e metà popolazione se non si fosse trovato il colpevole.

Le sue urla rintronavano nel palazzo facendo tremare i vetri delle finestre e i poveri cortigiani con essi. Per nulla impressionato GANEM tornò presto alla carica e cominciò a punzecchiare il suo nemico dinanzi, di dietro, nelle parti più carnose, cacciandoselo avanti, folle di terrore, mentre urlava e soffiava come un dannato.

Appena ABU-AIUB fu fuori dalla sala i ministri, dopo essersi guardati titubanti, finirono per ridere al pensiero che il loro sovrano fosse improvvisamente impazzito.

Nel frattempo il principe, usando spietatamente il suo pungolo originale, spingeva il disperato cugino attraverso sale e saloni, dinanzi a guardie e cortigiani allibiti, finchè, raggiunta la scalinata, non gli fece attraversare galoppando, il parco e anche la città. Il popolo si affacciava stupito alle porte delle abitazioni, dei bazar, le donne guardavano dalle finestre, dalle terrazze e tutti pensavano che al re fosse dato di volta il cervello.

Finalmente, non sapendo più qual partito prendere, il re si gettò in una vasca alimentata da una fontana posta in mezzo a una grande piazza, dinanzi alla moschea.
Tutta la città rideva e GANEM, finalmente placato e soddisfatto di averlo coperto di ridicolo, abbandonò la sua vittima diguazzante nell' acqua e sgusciando tra i cittadini che accorrevano, per ammirare il loro sovrano tramutato in pesce, raggiunse il giardino di MECHMET. Avendo deliberato di rimanere ancora invisibile, si coricò stanco morto sotto un albero e, dopo aver mangiato qualche frutto, si addormentò felice e soddisfatto.
Quale non fu la sua sorpresa, quando l' indomani mattina venne svegliato da una serie di legnate e di ingiurie proferite dal giardiniere, che evidentemente ora lo vedeva, dato che l' incantesimo durava solo un giorno e una notte.

Senza un lamento GANEM riprese la sua zappa e ricominciò il solito lavoro. Ma quando a mezzogiorno MECHMET se ne andò come al solito a far colazione, il principe ripetè la solita manovra con l' anello. E come il giorno innanzi apparve il genio BARBAROUCH che, dopo averlo reso nuovamente invisibile disparve.

GANEM allora corse nuovamente al palazzo dove, la sera innanzi, aiutato dalle guardie, ABU-AIUB era tornato dopo essere uscito dalla vasca, seguito dai sogghigni ironici della popolazione e dei cortigiani.

Dopo essersi cambiati gli abiti fradici, il sovrano, sconvolto dalla rabbia, aveva fatto chiamare una sua vecchia nutrice, che a voce di tutti era una strega. Come la donna ebbe appreso l' accaduto sentenziò:

- Un tuo nemico, grazie a qualche stregoneria, s' è reso invisibile per combinarti dei guai. Se tu mi avessi subito chiamata...

- Che avresti fatto? - chiese il sovrano. - Ho degli occhiali speciali che mi avrebbero permesso di vederlo.

- Allora d' ora innanzi, mi starai sempre vicina. - dichiarò ABU-AIUB.

E così fu fatto. La riunione del consiglio interrotta il giorno prima venne ripresa e ACHA, la strega, vi assistè munita d' un enorme paio d' occhiali con le lenti azzurre.

Improvvisamente, nel più bello di una discussione, la vecchia fiutò improvvisamente l' aria dichiarando: - Arriva l' invisibile. Nessuno si muova. Lasciate fare a me.

La strega s' era alzata e scrutava attraverso le grosse lenti, nel sottostante giardino. - Eccolo, è sul viale...Sale la scalinata... E' GANEM...

Il re, i ministri, le guardie aspettavano trepidanti mentre il principe, ignaro di quanto avveniva, attraversava silenzioso e rapido i numerosi saloni preparandosi a giocare nuovi tiri all' usurpatore.

Arrivò nell' anticamera...si affacciò alla porta della sala, era vicino al divano e al cugino, che parlava tranquillamente... ACHA non perdeva uno solo dei suoi movimenti e improvvisamente, staccatasi dalla finestra, gli corse vicino con incredibile violenza e gli gettò addosso una stoffa che gli paralizzò ogni movimento. Le guardie, avvertite in precedenza dalla vecchia, accorsero per prestarle man forte di modo che in breve il povero GANEM, prigioniero nel tessuto, che essendo ben visibile rivelava le sue forme, giacque a terra solidamente legato.

- ED ora che facciamo? - chiese ABU perplesso.

- Uccidilo - esclamò selvaggiamente la strega.

Sentendosi perduto GANEM, che aveva fortunatamente le mani congiunte, girò tre volte l' anello a destra e tre a sinistra.

Un colpo di tuono sembrò voler far crollare il palazzo che tremò sulle fondamenta poi BARBAROUCH apparve più terribile che mai.

- Tu hai abusato del tuo potere! - gridò ad ACHA toccandola e la strega si raggomitolò, s' accartocciò e in breve non fu più che un mucchio di cenere. Il re e i cortigiani, in un angolo, il volto coperto con le mani non osavano muoversi.

- Ti avevo ben detto di non chiamarmi due volte in un giorno - disse poi il genio liberando il principe.

- Stava per uccidermi! - si scusò GANEM che, guardandosi le mani non potè trattenere un' esclamazione di sorpresa e di rimpianto: l' anello magico era scomparso.

- Prima che io scompaia definitivamente, - disse ancora BARBAROUCH - posso esaudire un tuo ultimo desiderio.

- Dammi, - disse allora GANEM - una numerosa armata che mi aiuti a riconquistare il mio regno. Io non voglio la guerra. Voglio solo che il popolo sia libero di scegliere tra me e costui. E se il giudizio non sarà favorevole voglio che questo traditore si batta con me sino all' ultimo sangue...

Appena il principe ebbe pronunciate queste parole si trovò in una vasta campagna situata a cento passi dalla città, in mezzo a un esercito agguerrito e disciplinato pronto a morire a un suo cenno.

GANEM montava un superbo cavallo bianco e come ebbe sguainata la scimitarra che portava al fianco, marciò risoluto verso la sua capitale, dove il popolo l' accolse festosamente.

Egli era stato subito riconosciuto e tutti erano felici che il figlio del loro defunto sovrano, che era stato tanto amato e venerato, fosse venuto finalmente a liberarli dall' odiato usurpatore.

Anche le guardie di palazzo vennero a fare atto di sottomissione, dopo di che invano GANEM ricercò il perfido cugino, per battersi con lui.

ABU non venne trovato. Aveva preferito battersela portandosi via il tesoro dello Stato. E non fu mai possibile ritrovarlo.

A mezzanotte in punto l' esercito fornito dal genio scomparve improvvisamente, ma GANEM non se ne dolse.

Egli non aveva più bisogno d' armati e infatti regnò felicemente per lunghi anni nell' isola d' Ebano, sebbene qualche volta rimpiangesse il suo magico anello, che avrebbe volentieri usato per il bene del suo popolo.

 

 

i titoli delle altre fiabe:

           
           

 

MARINA