alle fonti del Clitumno

Giosuè Carducci

ode barbara

       ALLE FONTI DEL CLITUMNO( Clitunno )
(1876)

Questa è la piú alta, la piú solenne, la piú classica delle Odi barbare.

Comincia con un ritmo lento e con una intonazione pastorale; diventa poi rapida, e quasi tumultuosa,

fino a prorompere in uno squillo di trionfo; si rifà quindi, nelle ultime strofe,

pacata e serena come un giocondo canto di pace.


Il paesaggio umbro che circonda le sponde del piccolo fiume (visitate dal Poeta nel giugno del 1876)

è ancora verde e vivace quale fu nei tempi di Roma: i fanciulli immergono ancora,

come nei tempi antichi, le pecore riottose nell'onda, a detergerne la lana; le madri cullano i loro poppanti,

cantando sulla soglia del casolare; i padri tornano dal lavoro, reggendo i buoi aggiogati al carro dipinto:

alte sull'Appennino fumano le nubi, e le colline, digradando in cerchio, guardano la nota scena.

Passano le storie e le glorie: rimane immutato ciò solo che è eterno nella natura e nell'uomo.

Ma delle storie e delle glorie degli uomini il Clitumno serba eterno il ricordo: narra esso gli imperi degli Umbri,

degli Etruschi, dei Romani; narra, fra l'ombra degli alberi, la grande vittoria dei popoli italici, unificati da Roma e congiunti,

 nel nome di lei, contro Annibale.

 

Dove sono ora quei canti di trionfo? Tutto è silenzio:

tacciono anche i cori delle Naiadi, che nelle notti lunari cantavano gli amori di Giano e di Camesena

e i natali dell'itala gente. Né piú il nume Clitumno, avvolto nella sua pretesta, ha culto nell'unico tempietto

sopravanzato alle rovine dei secoli e dei barbari; né piú i tori, resi candidi dall'onda purificatrice del fiume,

conducono i carri dei trionfatori per la Via sacra al vertice capitolino. Roma piú non trionfa,

dacché il Cristianesimo portò l'ebbrezza del dissolvimento e il terrore della morte là dovunque fervevano le opere della vita e

dell'amore. Di che il Poeta prende inspirazione a un suo fervido e alato saluto all'Italia,

 ridesta da quella medievale abiezione, e riprende le tradizioni gloriose della serenità greca e della dirittura romana.

 

Prima di leggere, gioverà ricordare la descrizione che del paesaggio e della fonte ci ha lasciata Plinio il giovane

 in una lettera all'amico Romano: « Scaturisce sotto una piccola collina folta e ombrosa di antichi cipressi,

sgorgando da parecchie vene, non tutte eguali; e il gorgo che fa prorompendo fuori,

si allarga in un ampio letto cosí puro e cristallino, che potresti contare al fondo le monete che vi si gettano o le pietruzze rilucenti....

 Le ripe sono vestite di molti frassini e di molti pioppi, e il fiume trasparentissimo le riflette verdi,

come se stessero sotto l'acqua. Il freddo dell'acqua non la cederebbe alle nevi, né cede il colore.

Un tempio antico e devoto sorge li vicino: v'è dentro la statua dello stesso Clitumno, avvolto e adorno della pretesta:

 nume propizio e fatidico lo dicono le sorti (le schede degli oracoli). Intorno intorno sono parecchi tempietti e altrettanti Dei:

ognuno ha suo culto e suo nome, qualcuno anche una propria fonte; giacché oltre quello, che è quasi padre di tutti,

altri ve ne sono discosti da esso; ma si mescono alla corrente.... »

 













 








 

( "Antologia Carducciana" di Mazzoni e Picciola, Zanichelli, 1907 )
 

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