Nato
a Roma nel 1924, Alberto Manzi seguì un doppio percorso formativo:
l’istituto nautico e quello magistrale, fino a laurearsi prima in
biologia, poi in pedagogia e in filosofia, avendo, nel frattempo, maturato
sempre di più l’interesse verso l’insegnamento. Egli divenne famoso
come conduttore del programma televisivo Non è mai troppo tardi,
realizzato dalla RAI fra il 1960 e il 1968 per la lotta
all’analfabetismo, dimostrando uno stile didattico e comunicativo di
rara efficacia. Ma il suo lavoro di insegnante e di educatore fu
caratterizzato da una molteplicità di esperienze.
Subito dopo la guerra, aveva insegnato per un anno nel carcere minorile
Aristide Gabelli di Roma, un’esperienza che lo segnò profondamente sul
piano pedagogico e poi, dagli anni’50, nelle scuole elementari. Dopo Non
è mai troppo tardi, la sua collaborazione con la RAI proseguì con
programmi radiofonici e televisivi sempre orientati su tematiche che
riguardavano la scuola e l’educazione. L’ultimo suo lavoro in TV fu Insieme
nel 1992, un programma per insegnare l’italiano agli extracomunitari,
mentre nel 1996 ricevette l’incarico da RAI International di tenere un
programma radiofonico per gli italiani all’estero.
Se si esclude il periodo di Non è mai troppo tardi, Manzi non
abbandonò mai la scuola e continuò ad insegnare fino al 1985, anno in
cui andò in pensione; egli considerava la classe scolastica il vero
laboratorio in cui mettere alla prova le idee e i metodi per cambiare la
didattica. Nel 1981 ricevette una sanzione disciplinare (con sospensione
dello stipendio) per essersi rifiutato di compilare i giudizi sulle schede
di valutazione. Fra gli anni ’50 e ’70 andò periodicamente in America
latina a svolgere un lavoro di alfabetizzazione. Il suo impegno di
educatore è la testimonianza di una continua ricerca pedagogica e
didattica per migliorare la qualità dell’istruzione a partire dai
soggetti più difficili, perché rimasti lontani dalla scuola o perché
rifiutati dalla scuola.
I temi della libertà e della solidarietà, dell’avversione per ogni
forma di violenza e per il razzismo, del rapporto fra l’uomo e il
proprio ambiente, emergono dalla ricca produzione di libri per ragazzi che
vanno dall’educazione scientifica, a cui Manzi ha sempre dedicato un
interesse speciale, alla narrativa, dai testi scolastici alle raccolte di
fiabe. Capace di conciliare il registro della fantasia con un linguaggio
aderente alla realtà, la sua narrativa, di cui ricordiamo almeno Grogh,
storia di un castoro (1952) e Orzowei (1955) fra i suoi primi
titoli, La luna nelle baracche (1974), El loco (1979), Tupiriglio
(1988) fra i più recenti, è animata da uno spessore etico senza cadute
moralistiche o didascaliche.
Insignito di premi e riconoscimenti internazionali, Alberto Manzi è una
delle personalità più originali della pedagogia italiana contemporanea,
coetaneo di Mario Lodi e Don Lorenzo Milani, anch’egli ha fatto della
didattica e della comunicazione, in una scuola rivolta soprattutto agli
ultimi, il proprio campo di ricerca riuscendo, per primo, a portare una
platea televisiva in un’aula scolastica virtuale.
Alberto Manzi morì a Pitigliano il 4 dicembre 1997
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